sabato 27 aprile 2024

gli agonisti mi portano in Brembo

 


Ieri ho scoperto un altro modo di andare in canoa, quello del fiume.

Prendete un kayaker marino, anche mediamente capace, e buttatelo in acqua bianca. Probabilmente sarà per lui un’esperienza divertente… ma allo stesso tempo sicuramente anche frustrante perché tutta la sua abilità tecnica, che nelle sue acque basta a fare quel che vuole anche tra onde e vento, qui sembra non bastare per arrivare al risultato. Insomma, sei bravino nei tuoi bananoni da 5 metri e mezzo. Ma affrontare le rapide in questi gusci di noce è tutta un’altra cosa. 

il mio "guscio di noce" 
 Guardare i colleghi fluviali è fantastico: sembrano danzare nella corrente senza litigarci, scivolare sui ritorni come su un tappeto volante ed aver sempre pronto il colpo giusto, al momento giusto e con gli angoli giusti.


Anche la scorsa estate al campo slalom di San Pellegrino era andata più o meno così, in quell'occasione però non ho avuto un netto approccio alla mentalità fluviale, non si è fatta una discesa vera e propria ma qualche oretta di allenamento su e giù per un campo gara, per giunta in contesto cittadino. Praticamente come quando si va sotto la diga di Olginate a giocare, solo con un grado di difficoltà tecnica in più. Quel che comunque era balzato all'occhio - anche quella volta - è che se ho ancora da imparare tanto in kayak da mare…in fiume praticamente è come partire quasi da zero.

Ieri sono stato invitato dagli agonisti del K1 discesa a passare una mezza giornata sul Brembo. Mi ero ripromesso di approfondire le dinamiche fluviali ma trovo difficile trovare occasione di andare oltre al breve tratto di acqua mossa a valle della diga di Olginate, quindi come non accettare!

Noto subito che ci sono delle dinamiche molto differenti rispetto al kayak da mare.  Oggi le ho giusto intraviste dato che Ugo, istruttore agonista di acqua mossa, conosce bene questo tratto di fiume e non si vi è mai stata occasione di valutare ed allestire delle sicure da terra con le sacche da lancio. Si è comunque fatto uno scout mentre raggiungevamo il punto d’imbarco con il furgone, si accosta e si sfruttano i ponti o i sentieri nel bosco che raggiungono il fiume per studiarne le rapide. Si sta fermi tutti quanti  a guardare l’acqua, a capire se si fa o si trasborda, a far notare i pericoli, a discutere le linee, a scegliere una morta in cui il primo si ferma a fare sicurezza.
Insomma - sebbene l'approccio sia stato agonistico e non esplorativo - la differenza di relazione con l'ambiente rispetto al mio mondo si è vista.

In cambio di tutte queste attenzioni, necessarie per discenderlo (si spera) senza farsi male, il fiume regala un cocktail di emozioni che per un marino sono piuttosto rare. Un mix di paura-eccitazione che mi è capitato di trovare solo le rare volte in cui in acqua salata ho trovato condizioni di surf per i miei standard impegnative. La differenza è che in mare dura al massimo una manciata di secondi: da quando ti agganci al frangente fino a quando arrivi in spiaggia in appoggio; poi seguono minuti di pagaiate verso il largo e l’attesa di una nuova onda giusta per salire nuovamente su questa breve giostra. In fiume invece dura minuti interi, forse ore; finché sei dentro sei dentro… l’acqua è turbolenta e cambia direzione, velocità e colore ad ogni metro, ad ogni centimetro. Ed anche quando sei fermo a studiare la prossima rapida da affrontare l’adrenalina non ti lascia. Stai li a fissare l’acqua che scorre, pensando con gli altri a cosa fare. Vado centrale per evitare un buco, poi devo tagliare subito a sinistra per schivare un sasso. E se non ce la faccio?  Se mi ribalto dopo quel saltino devi fare il roll subito altrimenti rischi di finire su quel masso. E se non mi riesce? In mare fino ad ora non ne ho mai mancato uno neanche in surf di roll… ma sotto la diga ho fatto tanti bagni. Se vado a bagno qui? Stare a bagno con la corrente che ti spinge verso la prossima rapida non è certamente piacevole. Riuscirò a raggiungere la riva prima della prossima rapida? 

Ieri ne ho fatti 3 di bagni. Di cui due sulla prima rapida di III grado che si incontra; si chiama “la Irma”.

 La prima volta sono finito in acqua ancor prima di entrarci, l’ho fatta tutta a nuoto e in quei muri di acqua bianca e turbolenta non è neache facile tenere la posizione di sicurezza. L'ho voluta riprovare e la seconda volta sono uscito dal primo buco in posizione sbagliata e non sono riuscito a riposizionarmi e mettere la pagaia in appoggio prima di essere inghiottito dal buco centrale, il più grosso. L’acqua è arrivata sopra la coperta della Rainbow Zulu e mi ha girato sottosopra. Non sono neanche riuscito a mettermi in posizione per tentare di fare un roll; sentivo l’acqua che mi tirava la pagaia verso il basso, allora l’ho tenuta con una sola mano ed ho stappato. Gli altri l’hanno rifatta due o tre volte, io ho deciso di non insistere. Nuotare in acqua mossa è sfiancante e la discesa è appena iniziata. Da terra ho fatto un video agli Zucchi mentre la rifacevano per la terza volta ed una foto ad Ugo mentre è completamente dentro al buco, sembrava sparito una frazione di secondo prima di vedere il musone del suo kayak riemergere dalla schiuma bianca puntando il cielo. Che spettacolo!

Ugo inghiottito dal buco centrale della Irma

Alla rapida successiva son finito ancora sottosopra, ma ero ormai alla fine del tratto più turbolento per cui in un paio di secondi di apnea ho raggiunto acqua tranquilla ed ho tirato un roll un po’ scomposto.Un po’ tanto scomposto.

Ho fatto un’altro bagno, non ricordo dove. Mi sono messo in posizione per il roll ma ho sentito due colpi sulla schiena: era un tratto pieno di sassoni appena sotto il pelo dell’acqua e mi è venuta paura di essere colpito in faccia o al torace; la paura di sbagliare il roll e prolungare questa situazione di estrema vulnerabilità mi ha portato a stappare ed uscire dal kayak.  Sara mi ha aiutato a raggiungere la riva esterna all’ansa, rocciosa e verticale, spingendo il mio kayak allagato. Non c’era tempo per raggiungere la spiaggetta al lato opposto, la rapida successiva si avvicinava pericolosamente. Aggrappato alla roccia ho con gran fatica svuotato il kayak e mi sono reimbarcato.

Fortunatamente la rapida successiva era una tranquilla raschiera in cui ci si poteva rilassare a fare lo slalom per schivare i sassi, mi è servita molto per prendere fiato, raccogliere le energie e fare pace con il fiume.

Anche qui si è vista la differenza tra il mio approccio alla canoa e quello dei miei compagni di discesa: loro cercavano la linea più veloce per superare questa serie di ostacoli, io ci avrei messo mezz'ora per percorrere quei 50m giocando ad entrare ed uscire dalle morte dietro ad ogni sasso affiorante.

Le due rapide più famose di questo tratto di Brembo, ovvero “la Signora” ed “il massone” invece le ho passate discretamente bene… che per i miei standard attuali significa rimanendo verticale.
Durante lo scouting abbiamo visto passare due raft, non l'ho mai provato ma il kayak è sicuramente mille volte più divertente.  

Il passaggio sotto al ponte della SP26 mi preoccupava un po’. Mentre salivamo a San Giovanni Bianco ci siamo fermati a lungo a studiarlo, e devo dire a ragione. La vista che sia aveva dal kayak gli ultimi 20-30 metri prima del salto che sta sotto l’arcata sinistra mi ha quasi terrorizzato. Però devo dire che è stato più adrenalinico e spettacolare degli spot precedenti ma meno insidioso: ho osservato gli altri tre passare con eleganza e sono partito fermemente intezionato a seguire le loro linee. Uno scivolo d’acqua scura e velocissima in mezzo a turbinii di schiuma bianca, un richiamo rapido a sinistra seguito da una spinta energica per schivare un grosso masso semisommerso e poi un appoggio basso – con una pancia ben pronunciata- a destra per evitare di sfracellarsi contro i sassi che stanno a riva ed entrare in morta: si prende fiato e si guarda da sotto questo scenografico passaggio pensando esultante: “ce l’ho fatta!”.

Ho picchiettato il palmo della mano sull'acqua per ringraziare il Brembo di avermi concesso l'onore di passare a testa in su queste tre maestose rapide. 

Credo inoltre di aver anche capito quale sia la chiave per domare la Zulu: pance pronunciate ed evitare di prendere i buchi di punta. Se l’acqua sale sopra la coperta tu ti ritrovi a testa in giù.


Da qui in poi c’è stato un lungo tratto di fiume con una pendenza leggera ma costante. Con questo livello d’acqua, il minimo necessario per poter scendere, è tutto un manovrare per schivare sassi e cercare delle linee di acqua profonda a sufficienza per far passare il kayak ed immergere la pagaia.

Infatti sia Ugo che Sara ed Alberto, dopo aver visto che l’idrometro segnava 113cm, hanno sapientemente deciso stamattina di caricare delle WaveHopper in plastica per salvaguardare le loro in carbonio. Sarebbe stato impossibile percorrere molti tratti senza dare qualche spanciata. 

Entrati in San Pellegrino ultimo grosso ostacolo, breve ma intensissimo. Subito a monte del campo slalom stanno costruendo una passerella, il fiume è stato tutto incanalato in uno strettissimo passaggio in riva destra per costruire una piattaforma di ghiaia utile alle gru.

Tutta la potenza del Brembo si sfoga in questo salto che ribolle di acqua bianca. Ci siamo fermati a lungo a San Pellegrino ad osservarlo ed a discutere se fosse il caso di sbarcare prima o affrontare anche l’ultimissimo tratto. Il responso è stato “tutto a sinistra è fattibile”. Poi è solo un salto, 20 metri di acqua bianca a seguito del quale tutto è più tranquillo (tranquillo per gli standard di un fluviale, di fatto si entra in un campo gara di salom). L’ultima grossa scarica di adrenalina prima di affrontare dei divertenti arzigogolamenti nel campo slalom.

Siamo sbarcati poco prima della diga.

Ci sarebbe da dire qualcosa sul paesaggio, tra i due centri abitati eravamo in una gola di roccia e bosco davvero incantevole in cui il Brembo prende tutte le sfumature dell’azzurro e del verde, ma ci tornerò anche perché ieri ero concentrato su altro e questo aspetto è andato in secondo piano… il punto è il fiume. Ho scoperto il fiume.

Imbarco a San Giovanni Bianco - Ponte dei Frati (anno 1640)

Leggendo libri scritti da canoisti di acqua mossa non ho potuto non notare che loro hanno una sorta di legame spirituale con il fiume. Una cosa che francamente non ho mai capito, la pensavo una roba un po’ hippy. Ma forse oggi l’ho capita.

Il mio primo approccio al fiume è risale al 2017 sul Ticino in kayak da mare; è stato strano, non saprei come altro descrivere quelle due esperienze. Comunque si trattava di un I grado, forse qualche breve passaggino di II.  Poi nel 2020 sono arrivato al CK90 e Felice ha iniziato a portarmi - assieme ad altri - sotto la diga di Olginate, sempre coi kayak da mare. Qualcuno del gruppo iniziale non è più venuto, non trovandosi nella sua dimensione. A me piaceva un sacco ed ho cominciato ad intuire il fatto che il fiume fosse qualcosa di diverso. Sentivo il suo richiamo come il canto di una sirena: il rumore dell’acqua mossa, la corrente che ti porta in giro e ti rigira, il ribollio dell’acqua che senti sotto la canoa… poi, sempre al CK90 con Marco Arlati – allenatore di Canoa Slalom – la frequentazione della diga si è intensificata. Questa volta con kayak da torrente e da slalom. La scorsa stagione è bastato un pomeriggio a San Pellegrino per capire che qui ci sono altri orizzonti da esplorare.

Il fiume mi ha stregato, sentirsi piccolo in mezzo all'acqua turbolenta è un’emozione unica. Scorrerci sopra riuscendo a disegnare le linee che avevi in testa ti fa sentire tutt'uno con l’elemento.

Ho fatto la mia prima discesa di III e ne voglio ancora!



Ma già lo sapevo. Non è un caso se, con la scusa che la mia prima canadese era troppo grossa per essere usata da solo, un giorno mi sono ritrovato da Ozone con una Esquif chiaramente votata all'acqua mossa sul tetto della macchina. La mia scoperta del fiume è stata praticamente coetanea del mio innamoramento verso la canoa canadese. Questi nuovi orizzonti non saranno in direzione di torrenti estremi, ma vorrei proprio ballare su questo tipo di fiume, di medio grado, con la mia bella canadesotta. Per iniziare a conoscere il fiume il kayak è sicuramente la via più facile, ma so dove vorrei che questa nuova strada mi portasse.

Un unico dubbio: non so se con questi tre bagni segnati nel mio curriculum gli agonisti mi inviteranno ancora alle loro uscite…


lunedì 15 aprile 2024

a Numana per l' SK3

Le due sorelle

 La Certificazione Pagaia Azzurra - Sea Kayak di livello 3 era il mio obiettivo per il biennio 2020-21. Il primo freno a questo progetto fu causato dalla pandemia, poi è arrivato Matteo ed anche nel 2022 ho un pochino rallentato. Lo scorso anno però ero pronto, sono arrivato ad ottobre che mi sentivo davvero “sul pezzo”. Non ho trovato purtroppo l’occasione di sostenere l’esame.

Questo inverno poi ho dovuto appendere le pagaie al chiodo per vari motivi; l’arrivo di Federico a febbraio mi aveva infine, definitivamente, convinto a rimandare ulteriormente a tempo indeterminato.

Un paio di settimane fa mi capita di sentire Guido Grugnola, mi riferisce di avere in programma per il 5/7 aprile una sessione di preparazione SK4 a Numana e mi si propone l’occasione per sostenere l’esame di livello 3. Accetto con entusiasmo senza pensarci su, la domenica successiva vado in acqua a Vercurago dopo aver tolto non poca polvere dal kayak.
Mi sento molto ingessato ed iniziano le paranoie: andrò a fare pessime figure. Così il giovedì mattina all’alba mi metto in auto - kayak sul tetto - un po’ demoralizzato. Strada facendo mi fermo a Pesaro in Mastro de Paja dove ho l’occasione di parlare a lungo di un’altra mia passione con un personaggio del settore noto in tutto il mondo e di visitare lo storico laboratorio artigianale mentre sono all'opera. Questa sosta mi aiuta a staccare un po’ la mente e mi fa arrivare a Numana senza troppa ansia da prestazione. I marchigiani poi mi accolgono con calore e pian piano arrivano anche gli altri partecipanti.

Venerdì mattina ci si ritrova in aula dove l’argomento della lezione è leadership e gestione di un gruppo di pari livello (in questo caso 4) in situazioni variabili. Successivamente si passa alle prove di carteggio. Io mi trovo ad eseguire una pianificazione piuttosto semplice e la simulazione di alcuni rilevamenti per fare il punto nave; gli altri hanno in più il compito di calcolare anche lo scarroccio causato dalle correnti.

Dopo le 13 siamo in acqua ed io improvvisamente ripiombo nel mood in cui mi ero ritrovato la settimana precedente. La sensazione è che il kayak non risponda come dovrebbe, la realtà è che il kayaker ha addosso troppi mesi di ruggine.

Comunque il recente cambio all’ora legale ha allungato le giornate e questo ci concede sufficienti ore di esercitazione in acqua. Facendo simulazioni di leadership in passaggi stretti arriviamo fino alle “due sorelle” dove troviamo un po’ di vento.

salvataggi e zatteramenti vari

Nella navigazione di ritorno inizio a sciogliermi un po’, a riprendere pian piano confidenza con il kayak ed il mio corpo inizia a svincolarsi (parte sotto con il kayak, parte sopra con la pagaia).

L’indomani mattina di nuovo in aula, intavoliamo una discussione su alcuni dubbi sorti il giorno precedente durante dei test con rimorchi complessi ad un pagaiatore infortunato. E questo fa da perfetta introduzione coerente con la lezione della giornata: incident management.

Pranzo al volo e poi nuovamente in acqua per gli esercizi. Ci hanno raggiunti anche Felice e Ado per affiancare l’instancabile Guido.

rimorchi e zattere
Domenica mattina è arrivata con il briefing la notizia che ci aspettavamo, anche se tutti fino all’ultimo abbiamo sperato in un improvviso cambio della situazione. Il meteo ci ha offerto tre giorni di acqua piatta e vento assente: non ci sono le condizioni per ritenere valido l’esame. Usciamo comunque per ulteriori esercizi, vogliamo sfruttare fino all’ultimo minuto disponibile questa possibilità di crescita e confronto. Molti, come me e le ragazze di Salerno hanno fatto non pochi km in auto per essere qui.

Mentre eravamo in acqua è arrivato del vento, tra i 10 ed i 15 kts di maestrale, assieme a circa 50 cm di ondina. Ancora non abbastanza per una certificazione di livello 4 ma - evidentemente - i tre Maestri devono averle giudicate sufficienti per un SK3 così, a sorpresa, durante il debrief mi è stato comunicato che per me la Certificazione Pagaia Azzurra - Sea Kayak di livello 3 era raggiunta!

Per gli altri l’esame è solo rimandato… chissà che non sia occasione per ritrovarsi ancora tutti assieme. Siamo stati davvero un bel gruppo!







mercoledì 17 gennaio 2024

La Pocket Canyon a casa

foto Luca Cattaneo

Non vedevo l'ora di mettere in acqua la mia nuova Pocket Canyon. Certo, non è stato un primo varo dato che l’avevo già pucciata nel Sile il giorno in cui sono andato a ritirarla.

Però la prima volta nelle acque di casa è sempre un’emozione!

foto Riccardo Galbusera

Così sabato scorso sono andato al CK90 per allestire la nuova canoa con i suoi air-bag. Si, perché una barca del genere andava inaugurata in diga! Non è certo una canadese da acqua piatta!

È arrivato anche Luca che si è offerto di seguirmi con un kayak da torrente per fare sicurezza: dopo averlo istruito sulle procedure da seguire in caso di bagno (recupera la canoa nuova e lascia pure il canoista in balia di sé stesso) siamo andati in acqua.

Pagaiatina di riscaldamento fino al trasbordo, portage rituale e via!

L’idea era di prenderci confidenza inizialmente a valle del ponte, magari in prima o terza arcata… ma visto che lo scafo mi trasmetteva sensazioni di piena sicurezza mi sono soffermato subito sotto la diga per qualche traghetto a pochi metri dalle paratoie, dove l’acqua è davvero bianca! Poi giù sotto al ponte dove vi è una situazione decisamente meno turbolenta ma più divertente e didattica.

e la Esquif divise le acque... ah no... quello era Mosè


in morta di fianco al secondo pilone

Ci ho preso confidenza per bene, facendo traghetti, entrate in corrente, entrate in morta ed anche qualche piccola surfatina sulle onde che si formano proprio in fondo all’ultima arcata.

Il livello non era altissimo, sotto la media stagionale, per cui in ultima arcata era possibile mettere i piedi in acqua e trascinare la canoa a monte per delle traghettate alte e ridiscese in seconda arcata (la più movimentata). Con la canadese salire e scendere al volo è davvero una comodità, specie rispetto ai kayak da slalom con cui vengo qui solitamente coi quali però, con questa portata, è anche possibile risalire di prepotenza pagaiando senza sbarcare.

La Pocket Canyon è una canoa che fa sentire sicuri anche i pagaiatori che non sono certo abituati a questo tipo di canoa in acqua mossa. Qualche incertezza ovviamente c’è stata; sono abituato a venire qui con K1 slalom o - più raramente - con dei kayak da mare quando il livello è più alto. Nei giochi tra una eddy e l’altra non sono ancora abituato ad avere la pagaia da un lato solo, ma questa piccola Esquif mi ha fatto divertire e sentire sicuro nonostante sia ben lontano dal padroneggiare la tecnica necessaria.

Piccolo inconveniente sul rientro dato che mi sono causato uno strappo muscolare caricandomi la canoa sulle spalle. La temperatura decisamente rigida e l’abitudine a non prestare troppa attenzione a questo movimento non hanno certo aiutato; la mia cara vecchia Swift è più leggera di questa Esquif, specie considerando che all’interno c’erano air-bag, sacca da lancio, due pagaie ed una sacca con cappuccio, una felpa e cellulare.

Tornati sul lago per raggiungere la sede abbiamo dato gli ultimi colpi di pagaia della giornata in una splendida luce rosa nella più assoluta quiete e tranquillità. Quando tornerà la primavera qui regnerà il caos più totale, per fortuna almeno l'inverno è tutto nostro!

Tramonto in rosa

Come prima uscita nelle acque di casa penso non sia andata male; Direi che abbiamo trovato un nuovo gioco per la diga, sarebbe bello riuscire ad allestire anche una Prospector NovaCraft sociale nella speranza di avere compagnia. Conto di fare ancora un paio di uscitine così e poi convincere Luca ad andare a fare un giro a San Pellegrino sul Brembo. C'erano un paio di spot interessanti a monte del campo slalom in cui si può passare qualche minuto ( o qualche ora) su delle giostre di acqua spumeggiante!







sabato 13 gennaio 2024

Roll della Befana 2024



Ci sono alcune peculiarità che contraddistinguono noi "inuit del Lario", braccio marino del CK90. Una di queste è una tradizione legata al giorno dell'Epifania.

Non c'è bisogno nemmeno di organizzare la cosa, tanto ormai si sa, non si scappa. Semplicemente - la sera del 5- qualcuno ha chiesto: "domani, per il roll, a che ora?". Ore 9 in sede, 9.30 in acqua così da essere come sempre a casa per il pranzo.
Alla fine eravamo 11, pagaiatina fino al Ponte Vecchio di Lecco e poi di ritorno davanti alla sede Gallavesa dove anche Monica del bar Melting Pot (locale frequentatissimo dai noi canoisti) e Luciano Belloni ci aspettavano in spiaggia per assistere a questa nostra usanza.

Dopo qualche roll di riscaldamento, ehmm... volevo dire... di raffreddamento, abbiamo sfoderato le scope di saggina per dare il via alle danze. Ben in 8 abbiamo eseguito la manovra con la scopa, tutti con successo. Parrebbe sia un record, mai così in tanti!

E' il nostro modo di concludere il periodo di pausa per le festività natalizie. Dopo il roll con la scopa ci si comincia a preparare per tutte le attivita: l'imminente cimento invernale in collaborazione con Sottocosta, il corso di roll in piscina, la ripresa delle attività all'asciutto,... di fatto è una specie di rito di apertura del nuovo anno per l'associazione.

foto Ellebi


Cosa mi resta da dire? Ah si, del meteo. C'è stata qualche goccia di pioggia, ma tanto ci saremmo bagnati comunque. E si, faceva freddo.



Link al video di Felice e Simona:

https://fb.watch/pyIGb-SoKc/



Link ai post degli anni precedenti:

2023

2020

giovedì 4 gennaio 2024

Sile alto con Leonardo di Ozone

Leonardo e la sua Spark al Mulino Cervara

 Mercoledì mi sono concesso un giorno di ferie. Dovevo ritirare la Pocket Canyon e, già che ero nel trevigiano, ne avrei approfittato per un giretto sul Sile; mi sembrava un fiume interessante ed alla portata di un pagaiatore non proprio esperto di ambiente fluviale.

I ragazzi di Ozone Kayak sono stati così gentili non solo da aprire il negozio apposta per me durante le vacanze natalizie (mentre erano peraltro impegnati a fare inventario) ma mi hanno anche “prestato” Leonardo che mi ha fatto da guida ed organizzato il recupero!

Alle 5:30 di mattina ero già in auto alla volta di Quinto di Treviso dove sono arrivato poco dopo le 9. Sistemati gli ultimi dettagli abbiamo caricato la mia nuova Pocket Canyon sul furgone di Ozone assieme ad una Spark e via, dopo aver lasciato la mia auto ai laghetti di Quinto ci siamo diretti a Morgano. Qui c’è la sede di Open Canoe Open Mind, sicuramente la più grande associazione Italiana (una APS) ad essere incentrata esclusivamente sulla canoa canadese. Ci siamo imbarcati dal loro bellissimo squero (nome tradizionale veneziano di quello che noi, popoli del Ducato di Milano, chiamiamo darsena).


primo tratto
Poter pagaiare in posti a me sconosciuti assieme ad un canoista locale lo considero sempre un vero privilegio; Leonardo mi racconta che qui il fiume è stato modificato dall'uomo ed infatti ha una larghezza aumentata (poco più di 10m a naso) e sponde regolari. E’ così per circa un chilometro, fino a quando si raggiunge uno slargo creato da una vecchia cava di sabbia che prende il nome di Palude Barbasso. A questo punto il fiume torna al suo aspetto naturale, decisamente più stretto e meno rettilineo, si infila in una fitta boscaglia di alberi - ora spogli per l’inverno - ma che in altre stagioni vanno a creare dei tunnel verdi dentro a cui il fiume corre sereno.
Percorso un’altro chilometrino si passa sotto ad un ponticello, preceduto in sponda destra da dei resti di chiuse metalliche ormai ridotte a brandelli di ruggine.
Si tratta di una piccola centrale elettrica, ho tentato di documentarmi su internet ma si trova poco o niente. Dovrebbe essere stata creata negli anni ‘30 per alimentare la filovia Venezia piazzale Roma - Mestre - Treviso e lavorava in corrente continua a 1200V analogamente alle primissime centrali idroelettriche create in Adda tra fine ‘800 ed i primissimi del ‘900, secondo la tecnologia di Thomas Edison, e che alimentavano Milano in corrente continua.

Tornando a questa piccola centralina elettrica sul Sile pare sia stata acquisita dall’Enel nel 1947 (e verosimilmente convertita a corrente alternata) per poi essere chiusa nel 1969.
Il comune di Quinto, nel 2010, voleva riattivarla per alimentare le scuole ma - a vedere le paratie - sospetto non si sia concluso niente. Resta la struttura ed il ponticello sotto cui si trova un salto di una quarantina di centimetri: la prima piccola rapida della mia nuova Esquif!


ponticello vecchia centrale elettrica

Poco più a valle abbiamo imboccato un canale laterale per addentrarci nell’Oasi di Cervara, dove abbiamo visto numerose cicogne che hanno nidificato in testa ad ogni traliccio della corrente e su numerosi alberi; siamo arrivati fino all'omonimo affascinante mulino del 1500 ancora attivo con la sua bella ruota di legno.


Mulino di Cervara

Appena usciti dall’Oasi si passa sotto al ponte di ferro tipo Bailey della vecchia linea ferroviaria Treviso - Ostiglia; anche qui storia curiosa: strada ferrata progettata nei primi del ‘900 come opera strategica in caso di conflitto contro l’Impero Austro-Ungarico, fu realizzata dopo la prima guerra mondiale e terminata nella sua interezza solo nel 1941.
Bombardata nel ‘44 venne riattivata poi solo a tratti nel dopoguerra per essere abbandonata negli anni ‘80 e definitivamente chiusa nel 1997.

Attualmente da Quinto di Treviso a Grisignano di Zocco il percorso ferroviario è stato convertito in ciclo-pedonale ed è molto apprezzato per le bellezze naturalistiche, paesaggistiche ed enogastronomiche (Leonardo mi ha consigliato una trattoria accessibile anche dal fiume in canoa, ma non avevo carta e penna per gli appunti, so che non ci crederete ma sono venuto via senza neanche bere n'ombra de vin).


Ci restano solo un altro paio di km di fiume da scendere, che si fa ancora più tortuoso, prima di arrivare nel laghetto superiore di Quinto, anche questo artificiale creato da una ex cava, dove abbiamo parcheggiato la mia auto per il recupero.


Che dire? E’ stata davvero una giornata super! Il meteo era coperto, con foschia in diradazione che ha contribuito a rendere ancora più affascinante questo paesaggio rurale invernale (lo so, sono strano, mi piace tantissimo andare in canoa sotto la pioggia e con la nebbiolina).

Sono stra felice anche della canoa. Non ho ancora sviluppato la sensibilità per comprendere a fondo il comportamento dello scafo di una canadese, comunque non bastano certo pochi km in acque tranquille per prendere confidenza con uno scafo; ma come mi aspettavo è una barca estremamente diversa dalla Temagami e diversa anche dalle altre canadesi che ho provato (Nova Craft Prospector 16 e 15 e poco altro).

Questa è davvero una trottolina, ho capito cosa intendono sui vari forum anglofoni quando scrivono che la canoa “gira su un francobollo”. Reagisce istantaneamente alle manovre pur non avendomi mai dato l’impressione di essere nervosa (sul placido Sile, non vedo l’ora di portarla in diga ed a San Pellegrino e vedere quanto ci mette per spararmi a bagno) e comunque non richiede maggior impegno rispetto ad una Prospector NC per andare dritta.
Ho forse già notato un piccolo problema di assetto, avevo questa impressione in acqua che si è confermata a casa guardando le foto che mi ha fatto Leonardo: quando sto in ginocchio con le chiappe appena appoggiate davanti al traverso del sedile il trim sembra buono, ma da seduto sulla panca ero decisamente impennato. Quando ci avrò preso confidenza e l’avrò conosciuta meglio deciderò se sia il caso di spostare leggermente più verso il giogo il seggiolino anteriore.


Chissà quante avventure mi aspettano con la la mia piccola Esquif!



portiamola a casa



mercoledì 20 dicembre 2023

La flotta si espande #5: ancora in Canada!

 


Sembrava brutto avere in famiglia 5 kayak da mare e solo una - pur bellissima - canoa canadese.

Così sono stato una facile vittima della sovrastimolazione pubblicitaria del black friday. Dopo la grandissima Temagami mi sarebbe piaciuto avere una più piccola e maneggevole canoa da usare prevalentemente in solo (magari per giocare in diga) pur mantenendo assetto e caratteristiche da tandem. Qualcosa con cui iniziare anche un percorso di crescita in acqua mossa. Insomma, l’esatto opposto della nostra fantastica Swift.

Così quando Ozone ha messo in offerta una splendida Esquif Pocket Canyon la scimmia nel mio cervello è andata completamente in fissa! Me l’ha prenotata Gloria, esausta di sentirmene parlare a qualsiasi ora del giorno e della notte.

La Pocket Canyon è una canadese da fiume, prodotta dal marchio più votato all' acqua bianca.
Forse, tra i vari modelli dell' Esquif, è la più venduto in Europa dato che predilige la maneggevolezza (in acqua e fuori) alla capacità di carico necessaria per i lunghi viaggi tanto tipici per i pagaiatori canadesi quanto impensabili per noi del vecchio mondo.

Ha una lunghezza di 14,5 piedi, simmetrica e con un rocker decisamente pronunciato. Bordi alti ed a flare dovrebbero garantire discese asciutte anche in condizioni di fiume ben più impegnative rispetto a quelle in cui conto di utilizzarla.
Prodotta in Quebec ha lo scafo in T-formex; un materiale identico al Royalex, molto diffuso nel mondo della canoa canadese ma sconosciuto per chi -come me- arriva dal mondo del kayak. Praticamente si tratta di un foglio di plastica triplo strato termoformato che rimane sottile e leggero (molto più leggero del polietilene ma comunque mediamente più pesante del composito).

Per ora è ancora nei magazzini di Ozone, la andrò a ritirare dopo le feste con calma. Pensavo di fare un primo varo nel Sile in solitaria, quando Leonardo di Ozone ha scoperto questa mia intenzione si è detto disponibile ad accompagnarmi durante la discesa. Come non approfittarne?


Mi resta ancora qualche giorno per decidere se l’allestimento finale con gli airbag sarà per il tandem o per il solo.



mercoledì 1 novembre 2023

Concentrazioneskimokayak 2023


 Cosa dire a proposito del Concentrazioneskimokayak 2023?

Potrei fare le lamentele da umarell, quelle in stile “non ci sono più le cose belle di una volta”.

Di questo storico raduno sul Garda avevo una specie di timore reverenziale, era un evento davvero molto tosto composto da due navigazioni impegnative: quella del sabato tra Torbole e Malcesine (a cui non ho mai preso parte) a lottare con i famosi venti del Benaco e la domenica una lunga pagaiata con la tradizionale ricerca del Pal del Vò ancorato da qualche parte in mezzo al nulla nella parte più ampia del bacino.

Quest’anno non c’è stato nulla di tutto questo. La pagaiata del ramo nord del lago non si fa più da due anni, proprio quando mi ero deciso ad affrontarla anche io, mentre domenica abbiamo navigato sulla classica Lazise – Punta San Vigilio stando sottocosta sia all’andata che al ritorno ed evitando la traversata in mezzo al lago cercando la secca del Vo’.


Organizzatore dell’evento Luciano che, con l’occhio bendato a causa di una ricaduta ad un noto problema all’occhio destro, era presente ma non ha potuto essere in acqua (correva il rischio di essere scambiato per pirata). Presenti, in veste di accompagnatori, anche Matteo e mamma Gloria.


Sirmione
Ritrovo sabato a Porto Bergamini, poco ad ovest del centro storico di Peschiera. Meta della navigazione la fortezza di Sirmione. Dopo il briefing, tenuto da Luciano con in mano la consueta groenlandese, la pagaia è idealmente passata di mano ai tecnici presenti (Fabio Capecchi, Antonella e me). A condurre il gruppo un grande aiuto è arrivato da Franco Soana che conosceva bene l’itinerario da fare ma non ricordava la spiaggia con il bar su cui avremmo dovuto sostare; io e Antonella chiudevamo mentre Fabio stava nel mezzo.


Il tratto di costa che separa Peschiera dalla punta di Sirmione non è poi molto interessante, anzi… è proprio noioso. Fortunatamente la buona compagnia ha reso comunque piacevole l’avvicinamento alla meta; in acqua eravamo 23 kayak  (tra cui due doppi, uno ad uso tandem ed uno con il pozzetto anteriore ad uso cuccia). Si trovano alcuni capanni da caccia all’anatra ed una distesa di palificazioni per la pesca, specie in Punta Grò.

ingresso a Porto Castello

Il Castello Scaligero è davvero un gran bel vedere; ancora meta di barche turistiche nonostante siamo a fine Ottobre. Siamo entrati nel porto del castello dal piccolo accesso sul lato orientale per sbucare dalla parte opposta e riprendere a navigare verso la punta sulla sponda occidentale.

Molto interessante anche la parte più settentrionale della penisola con un basso fondale di rocce piatte davvero molto particolare.


La pausa pranzo è stata sulla spiaggia del Lido delle Bionde. Sospetto il nome derivi dalla massiccia presenza di turiste tedesche in costume da bagno anche a fine ottobre. Da qui al punto di imbarco abbiamo fatto qualche taglio e la navigazione si è conclusa nei tempi previsti.


Il meteo è stato soleggiato, niente vento ed acqua piatta. Avevo dei calzoncini di neoprene leggeri e mi sono anche abbronzato! Praticamente una giornata di fine estate.


La sera ho fatto in tempo anche a fare un giretto a piedi per Lazise con Matteo e Gloria, doverosa la sosta al parco giochi prima della consueta cena di gruppo.

la darsena di Lazise
L’indomani mattina ci siamo svegliati sotto una pioggia leggera ma incessante. Cielo grigio con un ceiling basso; non potevamo certo aspettarci le temperature del giorno precedente. Così in meno di una settimana ho fatto il salto di due stagioni: lo scorso fine settimana all’Argentario era praticamente estate, qui il sabato una tiepida giornata autunnale e la domenica praticamente inverno con tuta stagna e cappello nord-ovest. E’ proprio il caso di dirlo: non ci sono più le mezze stagioni!


Trovati sulla spiaggia appena fuori dal campeggio eravamo solo in 11. Durante il briefing Luciano ha detto due parole in memoria di Andrea Bresil; la sera prima a tavola – parlando del più e del meno- avevo ricordato che proprio qui, un anno fa, è stata l’ultima volta che ci siamo visti.

All’imbarco questa volta c’era anche Matteo con la mantellina e gli stivaletti, ha controllato che nel mio kayak fosse tutto a posto e mi ha passato la pagaia in acqua.

Ruoli dei tecnici invertiti, questa volta la conduzione è toccata a me, la prima volta ad un raduno ufficilale. Che onore!

Avvicinamento a S. Vigilio

Abbiamo pagaiato sottococosta, entrando nei porticcioli storici di Lazise e Bardolino. Costeggiato anche il paese di Garda prima di arrivare all’incantevole Punta San Vigilio.

Posto stupendo con il bel tempo ma – devo dire – sotto la pioggia ha un fascino ancora più fiabesco.


Girata la punta, come sospettavamo, ci è arrivato il vento in faccia. Abbiamo così deciso di evitare la sosta nella Baia delle Sirene, dove avremmo solo preso del gran freddo, per tornare nell’insenatura tra San Vigilio e Garda dove avremmo potuto trovare riparo dal vento per pranzare in una situazione di maggiore confort.

Fortuna volle che l’unica mezz’oretta di tregua della pioggia abbia combaciato proprio con la nostra pausa pranzo quindi non è stato neanche necessario montare il tarp che Fabio aveva previdentemente portato.

Prima di ripartire abbiamo voluto fare una foto scherzosa in ricordo dei “vecchi tempi” in cui ognuno indicava con il dito la direzione in cui – secondo lui- si trovava il Pal del Vò. 

"è là, è là" - indicando il palo - foto Fabio Capecchi


Reimbarcati abbiamo tagliato di netto il golfo di Garda e puntato dritto su Bardolino; visto che eravamo addirittura in anticipo sulle previsioni ci siamo concessi nuovamente di rientrare a fotografare i due porticcioli prima di sbarcare al camping per concludere ufficialmente l’evento. 


greenland total black davanti a Villa Bernini - Lazise


Link agli articoli degli anni precedenti:

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Concentrazioneskimokayak 2019

Concentrazioneskimokayak 2016



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